#Resistenti_Brescia: pane e veleni nella Terra dei Fuochi del Nord

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“REsistenti” è il nuovo lungometraggio della Socialmovie: dopo “Il Segreto di Pulcinella – Storie dalla Terra dei Fuochi”, per la regia di Mary Griffo, il cinema torna ad occuparsi di inquinamento, devastazione ambientale, disagio sociale e coraggio. Coraggio, si. Perché stare sul territorio, ogni giorno, combattendo la mala politica, l’indifferenza e un paradigma economico che produce solo distruzione e disuguaglianze, richiede fermezza e coraggio. È resistenza. Un manipolo di attivisti della Terra dei Fuochi, quelli della Rete di Cittadinanza e Comunità, segue le riprese del film in giro per l’Italia: in ogni regione c’è una Terra dei Fuochi, in ogni regione c’è una forma di resistenza. Il cinema le racconterà come sa, attraverso il grandangolo e le luci. Noi le racconteremo qui, su Decrescita Felice Social Network, attraverso lo sguardo di chi si fa barricata tutti i giorni e di chi sa nel profondo che, battaglia dopo battaglia, “questa terra, un giorno, sarà bellissima”.
E’ povero il cortile di Pierino Antonioli, un allevatore di Brescia che circa 15 anni fa si è visto stravolgere la vita dalla Caffaro. Oggetti vari ammonticchiati un po’ ovunque e una tenda in plastica che separa la parte abitata da quella ormai semiabbandonata, parlerebbero di stentata sopravvivenza se non ci fossero due incredibili, maestosi pavoni blu oceano a testimoniare tutt’altro: un pezzo di vita che pulsa ancora prepotente, una forma semplice e inconsapevole di resistenza.
Ci accolgono con la riservatezza tipica della civiltà contadina, gli Antonioli, ma si vede che sono abituati a giornalisti e telecamere. Ce ne sono stati fin troppi lì, ad ascoltare i racconti di Pierino, senza che poi chi doveva e poteva fare un po’ di giustizia intervenisse. E così Pierino racconta ancora, ogni volta, a chiunque si mostri interessato la storia di un Piccolo Agricoltore che un giorno si scontrò con la Grande Industria e ne rimase spezzato.
La Caffaro è un’industria chimica sorta agli inizi del Novecento in quella che un tempo era la periferia di Brescia. Dall’albergo dove siamo, in pieno centro, oggi però non dista che pochi minuti e quando il disastro si è consumato, la fabbrica era già tra scuole e case, a ridosso di terreni coltivati. Produceva PCB (policlorurobifenili) utilizzati come olio isolante per condensatori e trasformatori elettrici, una piccola rivoluzione della chimica – brevetto Monsanto –  rivelatasi poi mortale. I PCB, infatti, sono inquinanti organici persistenti. Significa che una volta dispersi nell’ambiente non vanno più via se non a seguito di costosissime bonifiche. Permangono nelle acque, non si biodegradano, rimangono pervicacemente nei terreni e così, anche se la Caffaro ha dismesso buona parte dei suoi impianti – il sito è ancora attivo – i PCB continuano ad avvelenare terre e sangue dei bresciani.

Pierino Antonioli. Ph. www.senigalliesi.photoshelter.com

Pierino Antonioli. Ph. www.senigalliesi.photoshelter.com

Lo sa bene Pierino Antonioli che lì vive e lì ha perso tutto. Quando il caso Caffaro scoppiò, molti anni dopo che i PCB vennero messi al bando in Giappone e molti anni dopo la chiusura dello stabilimento, gli ispettori dell’ASL andarono nella sua cascina e gli ingiunsero di abbattere i suoi undici capi di bestiame e le sue galline. Non fu sufficiente ucciderli: dovettero incenerirli, perché le carcasse non inquinassero il terreno. Gli dissero che non poteva più coltivare nemmeno un pezzetto di terra e che tutta la sua famiglia doveva sottoporsi ad analisi. Fu così che scoprirono che Pierino era altamente intossicato, con un livello di PCB nel sangue pari a 290 su una soglia massima di 15. La madre, Luigia, ne aveva 700.
Fu difficile cambiare, racconta la moglie. Franca era abituata a lavorare in campagna, alle balle di fieno. Una vita dura, come quella di tutti i contadini, una vita però a cui si dice addio a malincuore. Rimane in piedi mentre mi parla con gentilezza, con lo sguardo chiaro un po’ distante e con la premura verso gli ospiti propria delle donne di un tempo. Le piace che anch’io sia una contadina e con quel cameratismo che da l’appartenere alla stessa categoria, mi porta a vedere un albero di limoni che le hanno regalato e che mai ha potuto piantare: come in uno scenario post-atomico, cresce in un gigantesco vaso di ferro, al riparo, in una specie di garage…la signora Antonioli, però, è orgogliosa di quella pioggia di frutti gialli il cui colore così intenso, in quella penombra e in quella latente tristezza, fa il paio con il blu elettrico delle piume di pavone che pochi minuti più tardi mi regalerà perché le porti a Napoli, a mia figlia.
Ce ne andiamo con il silenzio nel cuore. Venendo dalla Terra dei Fuochi, dovremmo essere abituati alle storie di disagio economico e sociale che accompagnano sempre la devastazione ambientale, ma le persone non sono certo un numero in una statistica e quando le incontri, immergendoti nelle loro vite, non puoi lasciarle senza che l’incredulità e l’amarezza ti invischino nella loro ombra. Nessuno ha mai risarcito Pierino, anzi. Pierino paga l’IMU sui suoi terreni che non valgono più nulla e dovrebbe sopportare in prima persona parte dei costi altissimi della bonifica, se volesse recuperarli. Hanno sacrificato il piccolo, mentre la Caffaro, dopo alterne vicende giudiziarie e societarie, non ha mai pagato.
Sarà che da noi lo Stato non l’abbiamo mai sentito presente, sarà che da noi l’inquinamento non è mai stato l’effetto collaterale di un’economia che portasse vera occupazione e sarà, perciò, che abbiamo imparato prima degli altri ad alzare la testa e a ribellarci, ma il silenzio che abbiamo dentro lasciando Brescia Sud è il silenzio che avvertiamo fuori, nella città. La Caffaro smette nel 1983 di produrre PCB, mentre lo scandalo scoppia solo nel 2001 e tutt’ora sembra relegato ai soli, ordinati, cartelli che segnalano le aree inquinate. Eppure, tonnellate di diossine e PCB sono state emesse dalla fabbrica della morte facendo diventare Seveso un granello di polvere tra i disastri industriali. Scrive bene Zancan in un articolo apparso su La Stampa nel 2012: a Brescia i veleni sono istituzionalizzati. Un prezzo, per molti, adeguato alla vita benestante che vi si conduce.

Montichiari, una delle 15 discariche che lì si concentrano

Montichiari, una delle 15 discariche che lì si concentrano

La chiamano la Terra dei Fuochi del Nord per i rifiuti tossici sepolti un po’ ovunque, nelle fondamenta dei centri commerciali come nelle arterie stradali. Oppure, a Montichiari, è la Terra dei Buchi per via delle circa 140 discariche autorizzate che popolano la provincia e che le Mamme di Castenedolo ben pensarono di riprendere dall’alto, con un aereo da turismo, in un colpo d’occhio che rende conto con crudele precisione di uno sventramento senza precedenti. Brescia è anche l’esempio nazionale dell’incenerimento supertecnologico dei rifiuti, quello che ci sbattevano sotto il naso quando in Campania nel 2008 soffrivamo di un’emergenza – oggi si sa – montata ad arte per favorire l’Impregilo e l’imprenditoria criminale di cui la camorra era solo il braccio armato.
Dietro un ordine perfetto, siepi ben potate e cascine un po’ retrò, si nasconde il nucleo nero di un’economia disfunzionale che compra il cuore degli uomini e lo rivende al miglior offerente. Non di tutti, però. Perché anche lì abbiamo conosciuto un coraggio che non si traduce solo nella pacata resistenza di Pierino Antonioli. Anche lì, manipoli di cittadini si organizzano e si oppongono come accade in ogni angolo d’Italia. Anche lì, un po’ per volta, cambieranno le cose. Perché siamo tutti vittime della devastazione planetaria e del silenzio connivente delle istituzioni, ma diventiamo tutti attori del cambiamento quando mettiamo al primo posto la dignità e la vita degli altri. Quelle combattute con il cuore sono battaglie vinte in partenza. Ad ogni latitudine. Come ad ogni latitudine, le fratellanze strette tra uomini e donne di coraggio sconfiggeranno il buio e l’indifferenza che c’è.

Miriam Corongiu

Articolo pubblicato su Decrescita Felice Social Network

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