Difendere la montagna e la vita: le Briglie Borboniche

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Uva Catalanesca, Monte Somma, in prossimità delle Briglie Borboniche – Foto di Vincenzo Marciano

In un luogo quasi fiabesco, fra i colori delle viti di catalanesca e i suoni di acque sorgive, alle pendici del complesso vulcanico Somma-Vesuvio, si nascondono alcuni tratti di un’imponente opera idraulica d’epoca borbonica: le Briglie. Proteggevano con saggezza e forza la Montagna, difendevano i contadini dalle piene dei torrenti e dalle alluvioni e – grazie ad una complessa rete di vasche e argini – risolsero i problemi d’impaludamento che affliggevano da sempre i territori tra le falde del Vesuvio e la città di Napoli. Un efficace sistema d’irreggimentazione delle acque, il primo a carattere organico, un grandioso progetto di prevenzione del rischio idrogeologico connaturato alla Montagna.

Eppure raccontando il Monte Somma e il (più noto) Vesuvio, spesso ci si dimentica che di montagne si tratta: la gente per prima e le autorità poi sono portate da sempre a considerarle esclusivamente vulcani. Lo sono, certo, con un’ attività eruttiva cominciata 18.000 anni fa e protrattasi, tra lunghi periodi di stasi, fino al 1944. Tuttavia la principale tipologia d’instabilità del complesso Somma-Vesuvio, così percorso da torrenti, sono invece gli eventi alluvionali. La gente un tempo chiamava “lave” quelle frane di fango e rocce che scendevano giù impetuose dai vulcani, veloci e temibili almeno quanto i fiumi di fuoco. E fu proprio una “lava”, in una notte d’autunno del 2011, a uccidere Valeria Sodano, poco più che ventenne, a Pollena, piccolo comune sotto il Somma. La strada su cui si trovava con la sua auto, durante un’alluvione nemmeno troppo potente, la uccise dopo essere tornata il torrente che era un tempo, prima che gli uomini lo tombassero per farne un asse viario, trasformandolo coì in strumento di morte.

“Gli alvei-strada sono mine innescate nei centri abitati”, scrive Franco Ortolani, ordinario di Geologia alla Federico II di Napoli. Eppure non ci sono moderni piani di protezione civile, né il territorio dei comuni pedemontani intorno al Vesuvio è manutenuto in modo sufficiente a garantire che la montagna non frani a seguito delle copiosissime piogge che da qualche anno si scatenano all’improvviso. Non esiste alcuna cultura della prevenzione e paghiamo troppo spesso superficialità e incuria con la vita degli innocenti.

Volgendoci indietro, però, ci accorgeremmo che in un passato non troppo remoto, per mitigare gli effetti alluvionali si volle proteggere la Montagna, pensando a un sistema organico che imbrigliasse i canali di scolo delle acque discendenti dal complesso vulcanico. Sotto il regno dei Borbone, nel 1855, fu affidato a un abile ingegnere di Gaeta, Carlo Afan de Rivera, il compito di risolvere il problema che da sempre affliggeva le zone alle pendici del Monte Somma. Fu il primo, De Rivera, a dirigere l’Amministrazione Generale delle Bonifiche. Non erano solo le alluvioni a generare morte, ma la massiccia presenza di zone paludose che sottraeva terreni alla coltivazione, impoveriva le popolazioni locali e le decimava per via della malaria. A seguito dell’impaludamento, inoltre, vaste aree erano state disboscate perché venissero destinate all’agricoltura, indebolendo così i fianchi e le pendici dei monti e neutralizzando la naturale difesa dai monti stessi opposta alle “lave”.

De Rivera, direttore generale del Corpo di Ponti e Strade, Acque, Foreste e Caccia del Regno delle Due Sicilie, progettò quindi un grandioso ed efficiente sistema di bonifica, manutenzione e rimboschimento dell’intero territorio tra Napoli e il complesso Somma-Vesuvio, risolvendo il problema direttamente a “monte” con le Briglie (e anche a “valle”, con i Regi Lagni).

Briglie Borboniche, S.Anastasia – Foto di Vincenzo Marciano

Briglie che restano ancora maestose: alte più di quindici metri e lunghe venti, erano (e sarebbero ancora) potenti mura di contenimento in pietra lavica, capaci di correggere la pendenza dei torrenti e trattenere il materiale portato giù dalla furia delle acque, mentre si provvedeva a rimboschire il territorio e bonificare le paludi. Almeno cinquanta vasche di colmata accoglievano le acque, ripulendole dai detriti; quelle di assorbimento, invece, diventavano l’ultima dimora dei torrenti che morivano sulla montagna, senza mai raggiungere il mare. Le campagne caratterizzate da maggiore pendenza furono difese da argini contenitori che ostacolavano la discesa dei detriti e il letto dei torrenti venne protetto da catene e briglie di fondo per evitare che si corrodessero e le loro sponde si sgretolassero. Neppure finì qui. Venne istituita la fondamentale figura del “Sorvegliante idraulico”, vera sentinella del Vesuvio che faceva il giro di tutti i sentieri, aveva specifiche mansioni di controllo e manutenzione delle opere idrauliche e comminava multe ai contadini che non rispettavano le regole.

Con l’Unità d’Italia, il fascismo e l’inurbamento aggressivo e disordinato del territorio, le Briglie e le opere idrauliche di fine Ottocento, caddero progressivamente in disuso. Con l’istituzione delle Regioni, negli anni ’70, la figura del Sorvegliante venne a mancare e il Genio Civile preferì le gettate di cemento all’impiego della pietra lavica locale per effettuare  tanto sporadici quanto offensivi ed inutili interventi di manutenzione.  Le antiche Briglie, però, avevano dato ampia dimostrazione della propria forza e in molte occasioni avevano salvato vite umane. I geologi che si occupano di ingegneria naturalistica sanno che guardarsi indietro non vuol dire regredire: in un Paese in cui il rischio idrogeologico è diventato una priorità e una minaccia incombente su quasi tutto il territorio nazionale, avere la fortuna di poter progettare il futuro approfittando di efficaci e potenti opere già esistenti, rispolverando la saggezza del passato, è una ricchezza immensa.

Briglie Borboniche, dettaglio - S.Anastasia

Briglie Borboniche, S.Anastasia – Foto di Vincenzo Marciano

Nel giugno del 2014, proprio a Pollena, dove Valeria Sodano perse la vita, è partito un intervento di ingegneria naturalistica che, rispettando le caratteristiche ambientali del Parco Nazionale del Vesuvio, si spera porti alla perfetta funzionalità un tratto delle Briglie Borboniche, adoperando terra e geostuoie, e che si prevede disostruisca l’alveo tombato del Carcavone, il cui letto sarà rinforzato in pietrame per poter stabilizzare le sponde.

Siamo tutti in grado di intuire che il rischio idrogeologico, come qualunque altro fattore di rischio derivante dal dispiegarsi delle forze della Natura, va governato con accorte politiche di prevenzione. Ma pochi ci si impegnano e ancor meno si rendono conto che non sempre la lungimiranza deve armarsi di cemento: l’incrollabile fede negli ultimi ritrovati della tecnologia non sempre paga. Basta voltarsi indietro, e non di molto, per capire che valorizzando il passato possiamo creare occupazione (sul piano turistico e ambientale), arginare il consumo insensato di territorio, proteggerlo e vivere sicuri.

Le Briglie ci propongono, quindi, di coniugare le nostre prospettive al “futuro arcaico”, un tempo che del passato recupera ciò che di buono è stato fatto e che proietta in avanti la possibilità, che troppo spesso ci siamo negati, di essere figli deferenti della Terra.

Hanno resistito al tempo e a noi, le Briglie. Lassù in alto, maestose e sagge, ci insegnano che si può avere amore per ciò che siamo stati e che possiamo ancora essere. Dobbiamo avere cura del sapere che tramandano e dobbiamo ascoltare ciò che suggeriscono: la Montagna non si può sfidare, si può solo amare e, per questo, proteggere.

Miriam Corongiu

2 commenti

  • Antonio Spadafora

    Mi complimento per l’articolo perché riesce a trasmettere anche a me, che non sono un competente in materia, l’utilità delle Briglie realizzate in epoca Borbonica e che la successiva unità d’ Italia, con i suoi diversi assetti istituzionali, sono state sottovalutate; operando scelte che hanno minato e minano la sicurezza del territorio.
    Sono membro del Gruppo di Torre del Greco del Movimento Neoborbonico e chiedo se l’ autorizzazione a pubblicare l’articolo sulla ns. pagina facebook, gestita quale gruppo chiuso.
    Sperando di ricevere la Vs. risposta positiva, ringrazio e saluto cordialmente.
    Antonio Spadafora

    • Salve Antonio,
      nel ringraziarti molto per i complimenti, ti do senza nessuna difficoltà la mia autorizzazione a pubblicare l’articolo dove vuoi. In fondo, un blog serve proprio a questo: a diffonderne i contenuti. E siete tutti liberi di farlo dove volete.
      Grazie mille!
      Miriam

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